Codice di Procedura Penale art. 33 septies - Inosservanza dichiarata nel dibattimento di primo grado 1 .

Aldo Aceto

Inosservanza dichiarata nel dibattimento di primo grado1 .

1. Nel dibattimento di primo grado instaurato a seguito dell'udienza preliminare, il giudice, se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione diversa, trasmette gli atti, con ordinanza, al giudice competente a decidere sul reato contestato [33-quinquies].

2. Fuori dai casi previsti dal comma 1, se il giudice monocratico ritiene che il reato appartiene alla cognizione del collegio [33-bis], dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

3. Si applica la disposizione dell'articolo 420-ter, comma 4.

 

[1] V. nota alla rubrica del capo VI-bis.

Inquadramento

La norma disciplina esclusivamente le conseguenze della erronea attribuzione della cognizione del reato al tribunale in composizione monocratica piuttosto che collegiale e viceversa, diversificandole a seconda che si sia tenuta o meno l'udienza preliminare e della composizione del tribunale.

Le conseguenze della inosservanza sulla composizione del giudice dichiarata in dibattimento

La norma prevede due ipotesi: a) il dibattimento instaurato a seguito di udienza preliminare (comma 1); b) il dibattimento instaurato senza l'udienza preliminare (comma 2).

Nel primo caso, l'eccezione, già proposta (ed ovviamente respinta) in sede di udienza preliminare, deve essere reiterata entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1 (art. 33-quinquies), termine, quest'ultimo, entro il quale il tribunale può rilevare anche d'ufficio l'inosservanza delle disposizioni relative alla attribuzione del reato alla propria cognizione (salvi i casi disciplinati dagli artt. 516, comma 1-bis, 517, 521-bis, al cui commento si rinvia). Se il tribunale ritiene di essere stato erroneamente investito della cognizione del reato nella sua composizione monocratica o collegiale, deve trasmettere gli atti al tribunale nella composizione ritenuta corretta, adottando ordinanza motivata ai sensi dell'art. 420-ter, comma 4.

Segue . Il dibattimento instaurato senza l'udienza preliminare

Nel secondo caso, fermo restando il termine di decadenza di cui all'art. 33-quinquies, se il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale con citazione diretta a giudizio per un reato per il quale è comunque prevista l'udienza preliminare soccorre l'art. 550, comma 3, al cui commento si rinvia.

Se invece il tribunale è stato investito della cognizione a seguito di decreto di giudizio immediato o di giudizio direttissimo, occorre distinguere a seconda che proceda il collegio ovvero il giudice monocratico. Nel primo caso il collegio deve trasmettere gli atti al tribunale in composizione monocratica con ordinanza resa ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 420-ter, comma 4; nel secondo caso, invece, ove il tribunale in composizione monocratica ritenga che il reato appartiene alla cognizione del collegio deve restituire gli atti al pubblico ministero.

La giurisprudenza di legittimità interpreta diversamente l'art. 33-septies nel senso che l'inosservanza delle disposizioni che regolano l'attribuzione dei reati al giudice collegiale o al giudice monocratico comporta, per regola generale, la mera trasmissione degli atti al giudice competente, senza alcuna regressione di fase e, dunque, senza alcuna restituzione degli atti al pubblico ministero. Solo nel caso, residuale, in cui all'imputato spettava il passaggio alla fase processuale dell'udienza preliminare e tale passaggio gli sia stato arbitrariamente negato, il giudice del dibattimento deve invece trasmettere gli atti al pubblico ministero, così che l'imputato possa essere rimesso nella condizione di accedere alla udienza preliminare e di avanzare richiesta di riti alternativi nella sede che era per essi propria; sicché il comma 2 dell'art. 33-septies va riferito esclusivamente all'ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi non solo che il reato è stato erroneamente ritenuto tra quelli attribuibili alla cognizione del giudice in composizione monocratica anziché collegiale, ma che a causa di tale errore è stata altresì erroneamente omessa l'udienza preliminare (Cass. S.U., n. 29316/2015).

Il rinvio a giudizio per un reato per il quale è prevista la citazione diretta a giudizio

Esula dall'ambito di applicabilità dell'art. 33-septies il diverso caso in cui sia stata tenuta l'udienza preliminare per un reato per il quale invece è prevista la citazione diretta a giudizio; si tratta di “errore” non emendabile perché privo di conseguenze pratiche sulla cognizione del tribunale e non lesivo dei diritti della difesa.

Come spiegato dalla Corte costituzionale «il rito con udienza preliminare offr[e] indubitabilmente, nel suo complesso, maggiori garanzie all'imputato rispetto al rito con citazione diretta, in quanto caratterizzato da un vaglio giudiziale aggiuntivo sull'esercizio dell'azione penale (...) il carattere maggiormente “garantito” del rito con udienza preliminare non rappresenta, d'altro canto, solo un dato di evidenza irrefutabile, ma anche un principio che orienta la disciplina processuale positiva: basti considerare che in forza dell'art. 551, nel caso di procedimenti connessi, se la citazione diretta è ammessa solo per alcuni di essi, il pubblico ministero deve presentare per tutti la richiesta di rinvio a giudizio (prevale, cioè, il rito con udienza preliminare) (...) in simile prospettiva (...) deve comunque escludersi che l'adozione della sequenza processuale complessivamente più “garantita”, in relazione a reati per i quali essa non era dovuta, possa ritenersi foriera di disparità di trattamento in peius e di pregiudizi al diritto di difesa solo perchéé, nel confronto su singoli e specifici aspetti della disciplina — e, segnatamente, in relazione allo spazio temporale per la richiesta di riti alternativi —, il rito con citazione diretta possa risultare, nella valutazione dell'imputato, preferibile al primo» (Corte cost. ord., n. 183/2003, citata anche in commento all'art. 33-sexies).

Bibliografia

Ciarniello, sub art. 33-septies, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, t. I, 415 ss.

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